Virgin Gorda (BVI). Bellezza Magmatica. Pt1: L’Arcipelago delle Piccole Antille

Virgin Gorda è un’isola appartenente all’arcipelago delle British Virgin Island, che a sua volta si trova alle propaggini più settentrionali ed occidentali dell’arco vulcanico delle piccole Antille. Non è solo una bella isola caraibica, ma anche una creatura geologica piuttosto interessante.

Un poco di inquadramento:

Per definirla da un punto di vista geologico bisogna cercare di allargare il campo visivo, non solo all’intero arco delle Piccole Antille, ma fin sulla sponda pacifica. Qui si trovano le catene montuose del Nicaragua, della Costa Rica, di Panama e della Colombia, ad esempio la Cordigliera Centrale (Cordigliera di Guanacaste, di Talamanca, Serrania de Tabasara), chiuse tra il Pacifico ed il Mar dei Caraibi. Come avviene per l’arco delle Antille, ma per motivi diversi, anche le catene appena citate sono formate da un mix eterogeneo di vulcani (Poàs, Irazù, Turrialba, Barva) e rocce sedimentarie. In entrambi i casi segnano un confine invisibile, nascosto, che giace sotto la superficie del mare e dei sedimenti.

Si tratta dei margini Est ed Ovest della placca tettonica Caraibica, di tipo convergente dove la crosta oceanica Atlantica e quella Pacifica, entrambe più antiche, fredde e dense delle rocce che compongono la placca Caraibica, sprofondano sotto quest’ultima generando le due catene vulcaniche. Diversamente, i margini Nord e Sud della placca Caraibica, sono di tipo trascorrente e geomorfologicamente meno appariscenti. Mentre i primi sono segnati da catene vulcaniche, i secondi sono individuabili grazie agli epicentri dei terremoti, che si concentrano lungo le fasce di scorrimento, marcandone il confine.

Le Antille: Isole vulcaniche di arco (forearc islands) ma non solo:

Le “isole vulcaniche di arco” si formano quando la crosta oceanica (in questo caso della placca Atlantica), andando in subduzione al di sotto un’altra (nel nostro caso la placca Caraibica, che è sempre crosta oceanica ma più giovane e “leggera”) porta con sé una parte dei sedimenti oceanici. Questi ultimi, quando vengono trascinati nel mantello (ad alte temperature), si trovano in una condizione di disequilibrio rispetto al nuovo ambiente e danno origine ad un “fuso” a minor densità rispetto ai materiali circostanti. Poiché gli angoli di subduzione (ossia l’angolo con cui una placca si inabissa al di sotto di un’altra) sono in realtà molto bassi, si può intuire come, prima di arrivare ad una profondità tale da cominciare a fondere, la placca subdotta debba coprire molti chilometri sull’orizzontale. Questo fa sì che la fusione del sedimento portato con sé dalla placca subdotta avvenga, non esattamente al limite di placca, ma in un qualche punto all’interno dei limiti della placca superiore stessa. Il fuso che si forma (in realtà ancora non parliamo di un vero e proprio magma, ma piuttosto di un comportamento fluido di un corpo ad altissima densità) risale attraverso l’astenosfera fino a raggiungere i primi livelli della litosfera. Da questo punto in avanti, a seconda dello spessore e della composizione della crosta da attraversare, andrà incontro a diverse fasi dette di “frazionamento magmatico”, che altereranno la sua composizione originale; quanto maggiore sarà il tempo impiegato ad arrivare in superficie e lo spessore da attraversare tanto più “differenziato/evoluto” sarà il prodotto finale. Se il magma rimane a raffreddarsi e solidificarsi all’interno della crosta terrestre si avrà la formazione di un plutone (o di un batolite). Quando, in alternativa, un magma raggiunge la superficie, lo fa attraverso spandimenti ed eruzioni, anche (ma non solo) costruendo edifici vulcanici.

Il mar dei Caraibi è chiuso ad Est da due archi di isole che corrono paralleli tra loro. Il più esterno dei due è un arco vulcanico abbandonato (ad es.: Saint John’s, Barbuda, Gustavia) ed è la testimonianza della migrazione verso W del fronte di subduzione. Queste isole, perdendo il motore che le ha fatte emergere, finiscono con il subire i processi erosivi e spariscono sotto il pelo dell’acqua; durante questa fase possono però diventare il sostegno per la colonizzazione da parte dei coralli che, insieme ad altri organismi, iniziano a costruire e depositare livelli calcarei. Attraverso questo processo diventano isole a sedimentazione carbonatica. Se la crescita dei coralli riesce a tenere il passo con i tempi di subsidenza del vulcano morente (dovuta principalmente allo svuotamento della camera magmatica, alla compattazione legata al raffreddamento dei magmi e alla perdita di altezza dovuta all’erosione atmosferica e marina) allora si potrà sviluppare una corona, un rift corallino che cresce intorno all’antico cratere. Il tipo di struttura e di crescita di queste isole è fortemente condizionato dalle variazioni relative del livello marino, portando a diverse risposte del sistema che vanno dall’annegamento (se la produzione carbonatica non tiene il passo con la subsidenza) alla progradazione (quando la produzione è abbondante e, non avendo più spazio sulla verticale, comincia ad espandersi orizzontalmente). Se lo sviluppo è di tipo progradante si avrà la crescita laterale dell’isola carbonatica. La morfologia tipica di queste isole è bassa, larga e piatta. I coralli, come gli altri organismi biocostruttori, non riescono a superare il limite dato dal pelo dell’acqua. La parte emergente, data dalle sabbie che si accumulano per azione delle correnti e della produzione interna, a meno di abbassamenti del livello marino (che possono far emergere la piattaforma generando una fase di esposizione temporanea), non ha modo di crescere ulteriormente se non lateralmente, allargando la superficie.

L’arco più interno (ad es.: Grenada, Martinica, Dominica, Montserrat) è invece formato da isole vulcaniche che hanno avuto un’attività recente, molte anche in tempi storici, e sono appunto posizionate sul nuovo luogo di risalita dei magmi. Anche queste isole sono interessate da una produzione ed una sedimentazione di tipo carbonatico che si sviluppa lungo le linee di costa, ma questa si mischia ai prodotti terrigeni che provengono dall’erosione dei corpi vulcanici e dagli apporti legati alle eruzioni. A differenza dei vulcani di tipo Hawaiano (i cui magmi, di origine mantellare e fluidi, sviluppano una struttura detta a scudo) i vulcani di quest’area, i cui magmi derivano dal processo descritto sopra e sono più viscosi, sviluppano un edificio conico; il risultato del sovrapporsi di strati di ceneri e lave. La morfologia di queste isole è strettamente legata all’attività del vulcano (o dei vulcani) che le originano, questi rappresentano generalmente il centro ed il punto più rilevato dell’isola; la planimetria cambia spesso nell’arco del tempo a causa delle eruzioni che fanno guadagnare terreno rispetto al mare o dei periodi di inattività durante i quali il mare riconquista pezzi di costa asportando i materiali depositati. (Sono “creature” mutevoli e il fenomeno può essere facilmente osservato; per chi fosse interessato consiglio di cercare tramite Google Earth l’isola di Montserrat e scorrere l’archivio storico delle foto, si vedrà come la linea di costa è stata modificata durante le ultime eruzioni). Su queste isole si formano spesso le calotte di nuvole che descrivevo nell’articolo “Caraibi”, dovute alla risalita dell’aria umida lungo il fianco dei rilievi ed alla conseguente condensazione dell’acqua per riduzione di pressione e temperatura.

Rimane un ultimo tipo di isola a caratterizzare l’arcipelago delle piccole Antille, infatti Barbados rappresenta qualcosa di ancora diverso. Quest’isola si è formata, non per azione dei vulcani, ma da quella parte di sedimento che, non avendo seguito lo “slab” in subduzione, è stato grattato/raschiato dalla “schiena” della placca Atlantica, deformato ed impilato in ciò che chiamiamo un “prisma di accrezione” fino ad emergere in superficie. L’emersione del prisma di accrezione, che si sviluppa lungo tutta la linea di subduzione, non è data solamente dall’accumulo del materiale, ma è il risultato della somma di un insieme di fattori. In particolare, sono importanti: la quantità di materiale raschiato dal fondo (che darà origine ad un prisma più o meno potente), il sollevamento della placca Atlantica (questa, nell’atto di inabissarsi sotto quella Caraibica tende ad incurvarsi verso l’alto a causa della sua intrinseca rigidità, sollevando così i sedimenti accumulati) e la colonizzazione da parte di organismi biocostruttori (questi svolgono la doppia azione di stabilizzare il prisma e quella di compensarne la subsidenza, dovuta a fenomeni di compattazione, alle variazioni del livello del mare ed ai processi erosivi). A Barbados, la parte del prisma di accrezione che ha dato origine a quest’isola, è stata colonizzato dai coralli durante il Quaternario sviluppando il “coral rift”. Durante il sollevamento dell’isola, l’abbassamento relativo del livello marino produce la retrocessione della linea di costa; questo lasciava in esposizione gli antichi rift e faceva si che ne venissero sviluppati di nuovi sul fronte marino. Questo processo, ripetuto in milioni di anni, ha originato sia gli strati calcarei che le bianche spiagge che la caratterizzano.

Ho detto poco fa che queste erano le tre tipologie di isole che caratterizzano l’arcipelago delle Piccole Antille, ma in realtà ne manca un’ultima, ed è proprio quella di cui l’isola di Virgin Gorda rappresenta un ottimo esempio che sarà trattato nell’articolo Virgin Gorda (BVI). Belezza Magmatica. Pt2: Batoliti al sole.

 

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gallofrancesco87

Geologo, scrittore e talvolta fotografo. Sempre viaggiatore. Mi piace condividere il pensiero e le idee.

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